Si definisce Blue Economy la parte dell’economia che comprende tutte le attività economiche settoriali ed intersettoriali legate agli oceani, ai mari e alle coste.
Tra le attività più note della Blue Economy ci sono: le attività connesse con la pesca, la lavorazione ed il commercio del pesce, molluschi ed alghe, il trasporto marittimo, la filiera della cantieristica, la movimentazione di merci e passeggeri ed il turismo costiero.
Ma la Blue Economy è interconnessa con molte altre attività ed il suo impatto va ben oltre i settori citati. Ci sono settori nuovi ed emergenti che hanno un enorme potenziale di crescita ed offrono una grande varietà di opportunità di lavoro.
Ad esempio l’energia oceanica è diventata un importante settore della Blue Economy con parchi eolici off shore, lo stesso vale per la biotecnologia blu che utilizza organismi marini come alghe o batteri ma anche pesci e crostacei per trovare nuove applicazioni nella salute, nei prodotti cosmetici, produzione di energia ecc.
Un numero crescente di tecnologie note come blue technologies stanno diventando importanti in diversi contesti che possono contribuire a mitigare gli effetti del cambiamento climatico o al ripristino della salute degli ecosistemi marini.
Le blue technologies creano e gestiscono anche le informazioni sulle attività commerciali marittime attraverso sensori e analisi abilitate all’intelligenza artificiale. La quantità di dati acquisiti dall’interno dello spazio oceanico sta portando a una crescita di sistemi interoperabili per l’acquisizione, il trasferimento, l’archiviazione e l’analisi dei dati oceanici.
Dati migliori e più completi sull’oceano e sul mare le attività industriali contribuiranno ad accelerare l’innovazione blu.
Green industrial strategy
Nucleare, idrogeno ed eolico rientrano nella miscela che il Regno Unito vuole impiegare per alimentare i programmi di rilancio economico post pandemia e post Brexit, in quella che viene denominata la “next production revolution” globale (verde e digitale).
La pandemia e il tracollo economico da essa prodotto, sono visti come opportunità per accelerare la transizione verde, cavalcando l’onda del “ricostruire meglio” (“build back better”). Viene proposto un radicale piano di decarbonizzazione dei trasporti, della produzione energetica, dell’industria e degli stili di vita, e grazie a questa trasformazione di modello socio-economico Londra punta senza mezzi termini a conquistare il primato mondiale in sostenibilità ambientale, tecnologia e finanza “green”.
Il tech e la finanza sono gli ingredienti essenziali dell’operazione e punto di forza per dare sostanza alle azioni di policy e ai singoli progetti. Da una parte il triangolo Londra-Cambridge-Oxford, primario hub europeo dell'”high tech” (dove nascono innovazione, nuove tecnologie e start-up); dall’altro la City, secondo centro finanziario mondiale con una sempre più profilata accentuazione delle credenziali nella finanza verde (ambizione riflessa nel nuovo Financial Bill del 10 giugno 20211).
Dotazione per il piano Green: 12 miliardi di sterline, attraverso i quali provare a movimentare fino al triplo di fondi privati e generare complessivamente 220mila nuovi impieghi “green”. Il lavoro e’ al centro della strategia, componente indispensabile nel momento in cui gli indici di disoccupazione sono attesi in rialzo per il combinato disposto della recessione causa Covid e dei probabili contraccolpi per l’uscita definitiva dal mercato comune.
Si tratta però di una spinta all’occupazione che vuole fare perno sulla trasformazione del mondo del lavoro attraverso la riqualificazione complessiva dei profili d’impiego. I nuovi posti di lavoro immaginati dovranno infatti essere contraddistinti da parametri di maggiore valore aggiunto e competenze proprie dei nuovi settori legati alla rivoluzione verde. Essi si dovrebbero inoltre concentrare nel Centro e nel Nord del paese; e il messaggio politico e’ da questo punto di vista molto esplicito: la decarbonizzazione non significa de-industrializzazione. Le spese volte alla decarbonizzazione dell’economia rappresentano un investimento e non un costo e, nel lungo periodo, questi investimenti daranno luogo a un trade-off positivo in termini di crescita economica e occupazione.
Infine, é stata costituita una speciale “Task Force Zero Net”2 per guidare il processo che consente di centrare l’obiettivo del 2050, che il Regno Unito si e’ dato già da due anni, di essere il primo paese al mondo a zero emissioni.
1 https://bills.parliament.uk/bills/2835
Le 10 aree prioritarie della Green Industrial Strategy
La “Green Industrial Strategy” annunciata a novembre 2020 si concentra su 10 aree prioritarie:
● floating offshore wind: boost della produzione di energia eolica mondiale (soprattutto quella a mare), con l’obiettivo di raggiungere i 40 giga watt di produzione entro nel 2030; ● nuclear advanced modular reactors: nuove centrali nucleari, una grande e due piccole di nuova generazione (investimenti per 500 milioni);
● energy storage and flexibility;
● bioenergy;
● hydrogen: ridurre la dipendenza dal gas naturale investendo soprattutto sull’idrogeno (principalmente verde), con sussidi per almeno 500 milioni di sterline e puntando, entro il 2030, alla generazione di 5GW di idrogeno prodotto grazie all’eolico;
● Homes: interventi per l’efficientamento energetico di abitazioni ed edifici pubblici come scuole e ospedali;
● direct air capture and advanced CCUS: un miliardo di sterline complessivamente viene destinato a nuove tecnologie per la cattura e stoccaggio di CO2 (fino a 10 milioni di anidride carbonica da sottrarre all’atmosfera entro il 2030);
● industrial fuel switching;
● disruptive technologies such as artificial intelligence for energy: un fondo pari a un miliardo di sterline e’ infine destinato al sostegno alla ricerca e alla commercializzazione di tecnologie energetiche innovative.
Il 2022 appare un anno decisivo: dopo la COP26 il Regno Unito ha l’opportunità di promuovere internazionalmente la sua nuova missione, spingendo imprese, e soprattutto Governi, a unirsi e dotarsi di nuovi e più ambiziosi target nel contrasto ai cambiamenti climatici.
La nuova “strategia industriale verde” del Regno Unito, infine, dischiude interessanti potenziali opportunità anche per le imprese italiane, sulla scia di quanto già stanno facendo alcune nostre grandi aziende in questo mercato, come ENI (cattura e stoccaggio di CO2), Falck Renewables e Saipem (energia eolica).
Da questo punto di vista, la partnership con UK nella COP 26 potrebbe offrire una preziosa piattaforma per far crescere tali iniziative e aprire la strada a nuovi ingressi.
Il Panorama della Blue Technology
Il Blue Technology Barometer del MIT è una classifica di 66 paesi e territori con oceani e coste economicamente significativi sul loro progresso ed impegno verso la sostenibilità degli oceani. L’indice si consolida punteggi assegnati a ciascun paese o territorio attraverso quattro pilastri: ambiente oceanico, attività marina, innovazione tecnologica,e politica e regolamentazione. I risultati chiave sono i seguenti:
I primi 10 paesi sono i leader della Blue Technology, sono tutte economie avanzate e, ad eccezione della Corea del Sud, sono tutte economie occidentali.
Con uno score di 7.83, il Regno Unito è al primo posto, questo grazie al suo ecosistema tecnologico e alla sua leadership negli impianti offshore di energia rinnovabile che include il più grande parco eolico offshore del mondo al largo della costa dell’Aberdeenshire in Scozia.
Il Regno Unito ha investito molto nella ricerca e sviluppo nel settore marittimo ed in generale nelle tecnologie per la sostenibilità.
A settembre 2021 il Governo del Regno Unito ha annunciato i 55 progetti vincitori del Clean Maritime Demonstration Competition (CMDC), call lanciata a marzo 2021 a supporto del “Ten Point Plan for a Green Industrial Revolution”.
Il CMDC vuole sostenere la progettazione e lo sviluppo di tecnologie per la riduzione delle emissioni di gas serra da parte del settore marittimo del Regno Unito. I progetti vincitori rappresentano un investimento totale di 33.5£ milioni e saranno completati entro marzo 2022.